L’esploratore solastalgico

Che sensazioni suscitano “[…] lo spazio programmato e chiuso di un esercizio commerciale, il caos acustico di un autogrill, l’ostacolo costituito da una serranda abbassata nella città vecchia, un segnale di divieto in un vicolo cieco, la sala fortemente illuminata di un cinema alla fine dello spettacolo.[…]” ?

Fra i biologi cresce l’interesse per la scoperta da parte di alcuni genetristi di un cluster di geni che molti credono implicati nei processi di espansione degli areali; gli stessi geni, in una forma molto simile, si sono trovati anche in Homo sapiens. Nelle popolazioni umane esiste un gruppo di individui che sente una inestinguibile spinta all’esplorazione; recenti studi suggeriscono una correlazione fra il fenotipo dell'”esploratore solastalgico” (di seguito descritto) e alcune forme scarsamente riconosciute di disagio postindustriale. Nella fase attuale è utile raccogliere il maggior numeri di dati possibile: chiunque può entrare a far parte del gruppo di controllo, che si auspica essere il più ampio possibile.

“Geni dell’esplorazione” fenotipo A (tipo più diffuso)
(Traduzione di Aurelio Brezzadimare).
“L’ esploratore solastalgico” è un individuo che percepisce in certe situazioni l’esigenza e il desiderio di andare “lontano-lontano” (to go far, far away). Coloro che si trovano in questa condizione sono perfettamente consapevoli di non elaborare forme di fuga indotte dall’esterno, come per esempio il disagio generato da insolvenze lavorative, ristrettezze economiche, torti subiti o scarsa considerazione delle persone a loro prossime. Al contrario costoro sono spinti ad allontanarsi da una esigenza che descrivono con espressioni quali “originata dall’interno” (deep inside), “innata” “istintiva”, essa diviene più forte e talvolta più conscia proprio in condizioni di riposo, di pausa e in situazioni di riflessione apparentemente pacificanti. Se da un lato la genesi di questi sentimenti è interna, dall’altro la sua comparsa ed emergenza è scatenata spesso da condizioni del tutto esterne alla persona, si osserva per esempio il suo acutizzarsi davanti ad un panorama aperto, una veduta ampia, l’arrivo in un punto che consente la vista di un orizzonte vasto. In questi casi essi parlano di un “desiderio irrisolto” o di un “appuntamento mancato”.
D’altra parte si sono osservati omozigoti che pervengono agli stessi pensieri e sentimenti anche in condizioni apparentemente opposte e marcatamente antropiche, come gli spazi programmati e chiusi di un esercizio commerciale, il caos acustico di un autogrill, l’ostacolo costituito da una serranda abbassata nella città vecchia, un segnale di divieto in un vicolo cieco, la sala fortemente illuminata di un cinema alla fine dello spettacolo. In queste condizioni essi comunicano la loro esigenza di allontanamento descrivendola con tratti ed accenti più faticosi o persino dolorosi, per cui i termini più frequenti diventano “nostalgia” o persino “rimpianto”. In ogni caso questi soggetti generalmente tendono a non soffocare o censurare lo stimolo, spesso ne parlano apertamente solo con i familiari più prossimi e tuttavia, pur sapendo di essere in questo originali e affatto normali secondo i canoni comuni, tendono comunque a considerare la loro condizione come un privilegio. Questa pulsione si accompagna alla netta consapevolezza di dover andare oltre un non meglio definito confine, allo scopo di scoprire qualcosa di nuovo e diverso, qualcosa che essi descrivono come “mai visto prima da nessun altro”.