[…] salendo mi diceva: “devi sapere che a conoscerlo il legno del Larice si lascia lavorare bene; lo si usava anche per fare le scandole, ma ci vuole il suo ferro, quello fatto apposta che si batte con il martello di legno.

Però devi sapere come si fa, se no butti il tempo e anche il legno. Le scandole …” improvvisamente si interrompe, “te sai ben cosa che l’è ‘na scandola?”, e io : “si, si lo so”.
“Si va beh, ma un conto è vederle già tutte appoggiate, un altro è farle, una alla volta. La scandola è una tegola di legno, lunga e piatta che si mette sul tetto, vanno una sopra all’altra. All’inizio appena messe sono profumate e dolci, ma poi col tempo e le stagioni si induriscono a forza di prendere l’acqua dai temporali e asciugare al sole finisce che ingrigiscono e luccicano perfino. Ma guarda che per questi usi non tutti i laresi van bene, serve saper prendere le piante giuste, quelle con la vena dritta, che le riconosci dai rami e dalla chioma.”
Intanto continuiamo a camminare e poco alla volta siamo usciti verso il pascolo alto, dove resistono gli ultimi alberi, isolati. Oltre il limite del bosco, sui prati, se ne trovano di larici solitari, certi sono incredibilmente vecchi (“li da ‘sti ani”), certamente secolari, sono grossi e distorti. “Son cresciuti da soli, abituati a far tutta la fatica da sè.”
Uno di questi vecchi giganti è caduto, ormai chissà da quanto; il tronco è stato lasciato li dov’era ma si vede che era cresciuto a fatica e ne aveva passate tante: il legno ha le venature tutte storte è pieno di curve e di ferite.
“Ecco, guarda a questo qui ultimamente ho preso a somigliargli …”
Aurelio Segantini – La custodia delle terre alte.