
Camminavo senza riuscire a capire se ero più sorpreso dal dettaglio delle singole specie o dall’habitat a cui sono adattate, attratto ora da un singolo esemplare ora dalla abbondanza di un popolamento.
Il sentiero sale fino a forcella Cece e aggira da Nord la cima più alta del Lagorai, poi percorre di traverso ghiaie instabili e affioramenti dirupati di antiche lave riolitiche; quest’anno il versante è ancora parzialmente coperto da ampie sacche di neve marcia; sulle superfici candide ormai piatte e pesanti, i cristalli di ghiaccio si convertono in liquido che invade tutti gli interstizi.
Il terreno è appena liberato dal gelo, ancora saturo d’acqua, e la linfa riparte, attraversa i minuscoli vasi del sistema conduttore delle piante, le gemme si gonfiano, le foglie si aprono, la fotosintesi riprende e presto compaiono innumerevoli corolle dai colori incredibilmente saturi. Le specie delle alte quote sono adatte e decise a non perdere l’occasione per riprodursi nella breve estate alpina.




